lunedì 18 aprile 2016

La macchina del voto

di Filomena Baratto 

Vico Equense - Oggi il modo di fare politica è completamente diverso da ieri e ce ne siamo accorti già da un po’ come ai vecchi metodi si preferisce il contatto diretto con il pubblico, magari attraverso i social, i blog, dove si può condividere, discutere, informarsi. Al vecchio manifesto accattivante di una volta e che si aveva cura di non far coprire, si sostituisce un’ interazione continua con l’elettorato. La locandina affissa è l’ultima cosa,oggi, per mantenere desta l’attenzione sui candidati, correndo a sovrapporre volti su volti per credere che l’ultimo resti il volto vincente. Prima c’era il famoso comizio, dove si presentava il programma, se ne discuteva, fase oggi superata e lasciata ai messaggi con cui trasmettiamo in tempo reale quello che ci preme che il candidato sappia. E non importa se quella persona non la conosciamo, quello che interessa è che riceva il nostro messaggio e cominci a prenderci in considerazione. Oggi la politica è come costruire una tesi, un teorema con conti da far quadrare, interessi da salvaguardare, forze da unire, progetti da realizzare. Si comincia col preparare il terreno “allevando” una cerchia di amici con cui confrontarsi. Le amicizie? Si, quei rapporti che dovrebbero essere affettuosi e che invece scadono su altro. E che cosa sono i rapporti se non un appoggio tra forti e deboli, tra bisognosi di voti e di “piaceri”, tra coloro che chiedono e altri che esaudiscono? Si possono avere amici per aiuto dato in momenti di magra, o per aver tolto “le castagne dal fuoco”, o per cooptare persone che tornano utili. Insomma una mano lava l’altra e tutte e due lavano il viso.
 
Detto questo, la cerchia deve crescere, servono salotti, inviti, coinvolgimenti, persone capaci, mettere in moto un meccanismo sottile che, una volta innestato, non si fermi più. Una coalizione ha bisogno di portare avanti un progetto, ha bisogno di aiuti e, se molti credono alla bella idea, l’intesa va avanti. Gli interessi che emergono sono individuali o di categoria o di forze già affermate. Ma il vero punto di incontro scontro è un programma che vada bene a molti, per cui bisogna includere un bel po’ di promesse realizzabili o meno, importante è avviare la macchina. “Il fine giustifica i mezzi” sembra ancora il buon detto del “Principe” adatto anche all’impresa più difficile. E poi si sa, in aiuto viene sempre “l’inciucio”, questo bel lavoro svolto in ultima analisi, quando non ci viene proprio nulla in mente, entrato nel nostro vocabolario dal tempo di Mani Pulite e che spiega chiaramente il lavoro svolto nei corridoi, nelle strade, nelle piazze, nei negozi più che a palazzo. L’inciucio è un valido quanto pericoloso strumento in campagna elettorale ma ci mette anche in guarda nel ricordare e temere allo stesso tempo che, chi di spada ferisce, di spada perisce. L’inciucio ha anche un altro valido compagno, quello del “fango” che, immancabilmente, durante la campagna, arriva per qualcuno, quando si sta a corto di argomenti e ci ricordiamo delle mancanze degli altri mentre dimentichiamo le nostre. D’altra parte su cosa ci si dovrebbe mettere d’accordo, se non esistono gruppi solidi di partito, un programma che abbia un inizio e una fine, un controllo leale e valido dell’opposizione? Mancano i presupposti politici per fare la vera politica. Una volta la politica costruiva, in base a un ideale, un piano operativo, oggi manca e gran parte del lavoro è solo quello di mettere su fragili intese, che al primo problema crollano e con la stessa facilità con cui sono sorte prima, se ne rifanno altre. Il punto non è cosa vogliamo portare avanti, ma cosa bisogna inventarsi per raggiungere gli obiettivi, più che politici, di natura privata. Su questi falsi e pericolosi appoggi non si potrà mai costruire niente. L’opposizione, poi, invece di svolgere il suo ruolo, deve cercare altre motivazioni per non cadere nel dimenticatoio. Tutto questo rattrista molto l’elettorato, poco interessato, per capire che “lì” stanno solo gestendo e non governando. Indispensabili gli sponsor durante le campagne elettorali che sono gli stessi che magari costruiscono la macchina con un protetto, un uomo che coltivano e caldeggiano vivamente. Gli sponsor possono sollevare da ogni onere o solo in parte una campagna, che necessita di mezzi e, molto spesso, vince sempre il più ricco o il più influente, che non vuol dire il più forte o il più bravo. Il più forte economicamente, poi, diventa anche quello che si muove meglio, tanto da sembrare che sia la persona più adatta. E si potrebbero fare pronostici sin dall’inizio per capire come finirà la campagna, se non fosse per quella percentuale di elettori preparata, che conosce bene le persone, che non si lascia irretire, né abbindolare da false promesse. Una percentuale di voti, il candidato di turno, la perderà per essere stato scortese, scordarello e maleducato in determinate situazioni e l’elettore non dimentica l’arroganza così come non ricorda quando ha avuto, e non darà proprio quel voto necessario a fare la differenza. Ancora perderà il voto di chi ha deciso che la politica non serva più a nulla, che tanto sono tutti uguali e non si cambiano le sorti di chi non ha niente, di chi non rientra nelle grazie del candidato corteggiato, di chi si prefigge interessi completamente opposti e di cui nessuno prende conto. Non darà il voto chi è sfiduciato e non si identifica con alcun candidato. La differenza di una campagna elettorale la fa questa quota di voti che non si riuscirà mai a calcolare in modo preciso, per non aggiungerci anche quello che, all’ultimo minuto, nega il voto promesso. Insomma non ci facciamo mancare nulla! La campagna elettorale è come una lotta che, dopo il calcio, sembra accreditarsi il maggior numero di tifosi. Il politico deve anche difendersi dai continui attacchi e brutti tiri e non può essere né dolce né remissivo, ma volendo riprende ancora Machiavelli, deve avere l’astuzia di una volpe e la forza di un leone, che oggi la si traduce in un menefreghismo per tutto ciò che va oltre la sfera di interesse. La politica è svolta, per la maggior parte, da chi ha da difendere qualcosa, come un privilegio acquisito che non si voglia ricusare, un’idea velleitaria da portare avanti. Convivono insieme menefreghismo ed eccessivo interesse, come la voglia di far credere che sia possibile cambiare tutto, ponendoci come paladini dei diritti e delle aspettative degli altri. Magari, chi ha delle ottime idee, non ha i mezzi per farsi avanti, non ama il tipo di gioco cui deve sottoporsi e non compete con chi crede di saperla lunga. A volte sono i piccoli dettagli che fanno la differenza di persone, di voti, di serietà e di passione per la politica. Dimentichiamo però che l’elettore ha bisogno di chiarezza e non di chiacchiere, ricorda tutto quello che è stato fatto e detto e all’occorrenza ricambia con la stessa moneta. Pensare ad un elettorato stupido e impreparato non conviene, bisogna credere sempre che gli altri ne sappiano più di noi per poter arginare difficoltà e preparare mosse adatte ad ogni situazione. Ma la vera mossa in assoluto è avere idee chiare in cui credere e su cui investire, con un progetto ben definito, con obiettivi controllabili a medio e lungo termine. E’ importante avere anche l’umiltà di indietreggiare qualora ci siano idee migliori e più vantaggiose per la comunità. Il vero politico è chi si impegna per il bene di tutti e lo si riconosce da lontano. Chi bada al proprio piccolo, non è utile né per sé, né per gli altri.

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