mercoledì 18 novembre 2015

L’ultimo vescovo di Vico

Monsignor Michele Natale
di Filomena Baratto

Vico Equense - Monsignor Michele Natale fu l’ultimo vescovo di Vico Equense, diocesi che gli fu affidata nel 1797, anno in cui raggiunse il suo più alto grado di ordine sacramentale della gerarchia ecclesiastica con l’episcopato. Nel concordato del 1741 fu espresso il proposito, della S. Sede e della Corte di Napoli, di ridurre le sedi vescovili, pertanto Vico sarebbe stata soppressa se fosse stato attuato il Concordato, ma così non fu. Il proposito scemò per non essersi messi d’accordo, il Re di Napoli e il Papa, sulle pretese regalistiche. Fu così che Monsignore ebbe la sua sede vescovile. Monsignor Natale era originario di Casapulla in provincia di Caserta, dove nacque nel 1751. Ricevette il sacramento della Cresima all’età di sette anni. All’età di 19 anni (tra i 18 e i 19) s’impegnò a prendere i voti entrando così in seminario a Capua dove restò per quattro anni. Fu ordinato sacerdote nel 1775. Appena quattro anni dopo si trovava iscritto alla Massoneria, nella Loggia napoletana intitolata “Vittoria”. Essa si allontanava molto dalla Massoneria del secolo scorso. Era ispirata a un vago concetto di libertà, fratellanza e cosmopolitismo con mire alla ricerca del vero e alla pratica dell’altruismo e alla rimozione dell’ignoranza, fanatismo e superstizione, tutto quanto potesse impedire l’unità morale del genere umano. Nel 1789 fu nominato cappellano di una delle tre cappellanie fondate da un suo antenato nel 1649 e nell’atto di nomina, a cura del notaio Pasquale Francesco d’Amico, egli fu definito sacerdote idoneo, probo ed esemplare. Successivamente divenne vice parroco nella chiesa di S.Maria Abbate a Capua per intercessione di Re Ferdinando IV e di Papa Pio VI. La biografia di Monsignor Natale non è un fatto semplice viste le quattro biografie redatte da persone diverse e che vanno continuamente messe a confronto per non cadere nella tentazione di romanzare troppo la sua vita. Quattro biografie della fine degli anni 80 del secolo scorso rispettivamente di M. D’Ayala, l’avv. F.Migliaccio, il canonico Iannelli e Don Parascandolo. Il fatto che quattro autori si siano dati da fare per la biografia di monsignor, ci fa capire l’importanza che se ne vuole sottolineare.
 
E dopo un’attenta analisi si giunge alla considerazione che sono biografie che cercano di amplificare alcune note di merito, episodi o fatti del vescovo come a volerne mettere in risalto l’operato. Sicuramente fu una figura di spicco nell’ambito della cultura vicana di fine 700, della cultura napoletana inserita in quel contesto così privilegiato che fu la Rivoluzione del 1799 a Napoli dove si misero in luce molte figure messe in guardia dai valori dell’Illuminismo. Nel momento della nomina a vescovo di Vico, il sindaco del tempo, Dionisio Astarita, chiamò gli abitanti delle frazioni e dichiarò che, in concomitanza della festa di San Ciro, si celebrasse anche l’ingresso del vescovo che si insediava. Secondo quanto afferma lo storico Antonino Trombetta , non abbiamo nessun documento che avalli la sua condotta vescovile a Vico, un breve periodo che si concluse tragicamente. A tal proposito Trombetta afferma che potremmo rifarci alla biografia di Gaetano Parascandolo, un secolo dopo, dove si descrisse il vescovo con tutto il bene possibile. Ma così non fu, sempre secondo il Trombetta, visto che si macchiò del fatto di non essersi mantenuto al di sopra delle passioni politiche, passioni che incendiarono gli stessi condiocesani e che mantennero vivi dibattiti politici scatenando conseguenze per la stessa città. Non viene perdonato al Vescovo il fatto di aver avuto rapporti con ufficiali francesi che giungevano dalla vicina Castellammare e che lo avviarono verso quegli ideali repubblicani di cui andava fiero. Il rapporto con le frequenti visite di francesi, sono la prova che, sin dall’inizio della venuta di costoro, egli abbia stretto con loro rapporti di collaborazione. Durante il suo episcopato, stando alle biografie, invece di badare alla cura della sua diocesi, si curò maggiormente degli eventi che si stavano avvicinando. Tanto che, sin dall’arrivo dei Francesi a Napoli, il 21 gennaio del 1799, subito si schierò dalla loro parte così come fecero altri vescovi del regno di Napoli. Subito dopo questi eventi accettò la presidenza della municipalità. Un fatto appurato da una lettera manifesto dello stesso anno datata 30 aprile in cui cercava di risvegliare gli animi dei condiocesani con la promozione dei loro diritti e del valore della libertà, così che aumentò il quantitativo giornaliero delle derrate alimentari, ridusse i dazi e fu di grande dirittura morale per l’amministrazione della giustizia che fece con grande imparzialità. Sono questi i suoi meriti nel periodo della permanenza al vescovado di Vico, periodo in cui impresse nei concittadini ordine e richiamo ai valori di libertà incidendo sui loro animi con effetti positivi dall’alto della sua autorità. Uomo di cultura e di grandi interessi, si presentò a Vico con 51 testi della sua biblioteca, un grande valore che mise a disposizione di tutti. Egli si occupò anche di ristampe di alcuni testi di grande rilievo. Per questo , a torto, viene ritenuto l’autore del “Catechismo repubblicano per l’istruzione del popolo e la rovina dei tiranni”, che egli fece ristampare , ma di cui molti gli attribuiscono la paternità. Ma tutto quello che di buono aveva tessuto con i vicani scivolò via con i suoi propositi politici tanto che lo detronizzarono dopo che si videro esposti a una serie di violenze commesse ai loro danni. Si salvarono grazie a due pacificatori: la principessa di Satriano, feudataria di Vico e monsignor Silvestro Pepe per mezzo di 15.000 ducati. Rotto ogni rapporto con i vicani, sia come vescovo che come sindaco, visse poi a Napoli, sempre fedele alla Repubblica. A questo punto, cambiate le sorti della città con l’arrivo delle truppe borboniche, dovette uscire di nascosto travestendosi da francese. Ma fu riconosciuto da un vicano e arrestato. Fu condannato all’impiccagione restando sospeso per 24 ore penzolante dal patibolo. Con lui anche Eleonora Fonseca Pimentel. Nell’opera di Iannelli, che dà un’altra versione alla sua biografia, alla pag. 157, si dice che monsignor Natale assieme al Colonna, al Serra e a Don Pacifico furono sepolti nella Chiesa del Carmine. Morì a 48 anni. A detta del Trombetta moriva senza aver fatto alcuna cosa di eccezionale, né di eroico. Il Migliaccio, autore di un’altra sua biografia, ha il merito di aver raccolto tanti documenti che vanno dal secolo XIII al secolo passato per scrivere la storia del nostro comune. Le quattro biografie hanno la volontà di voler amplificare l’opera del vescovo rendendo la sua vita molto più interessante e movimentata di quella che fu in realtà, oltre a sottolinearne l’attività di organizzazione politica e culturale di cui si fece promotore anche grazie alle trascrizioni e ristampe di opere e divulgazione delle stesse. Per la città rappresentava un punto di riferimento e in breve tempo impresse nei cittadini la sua ricca personalità. La storia romanzata vuole che prima di morire abbia maledetto il vicano che lo additò e lo portò all’impiccagione così come la città di Vico da cui proveniva il delatore. E visto che la storia si legge dopo la fine dei fatti e col tempo, ora la storia del vescovo assume una nuova luce, fatta di lustro e di volontà di reintegrarlo in una società che a quel tempo non era pronta per accettare idee così rivoluzionare e che sicuramente non voleva scontrarsi con l’autorità più alta della città, ma era solo spaventata dalle nuove idee portate dai venti della rivoluzione. D’altra parte lo stesso vescovo, pur essendo nato a Casapulla, resta legato a questo territorio per la sua intensa attività che qui ebbe. Vico rappresenta per lui un luogo di forte richiamo per gli interessi che qui sviluppò e allo stesso tempo i vicani si sentono legati a lui per essere l’ultimo vescovo che aveva assolto anche a funzioni di sindaco con sviluppi politici e sociali. Il suo fu un impegno prettamente di divulgazione e approfondimento di tutto quello che la rivoluzione portò da queste parti. Pertanto Vico, proprio per essere il luogo in cui il Vescovo sviluppò e divulgò i fermenti della politica repubblicana, chiede, per un fatto simbolico e al passo con la storia che si costruì a quel tempo, che le sue spoglie possano riposare in questa terra. Un legame, quello tra vescovo e vicani, fatto di crescita reciproca malgrado le incomprensioni e le difficoltà del tempo.

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