domenica 5 luglio 2015

Made in China, l'altra economia a Napoli e Salemo

Negli Ultimi 10 anni boom di presenze Cinesi in anniento del 692% m provincia. Sono imprenditori della seconda generazione 

Fonte: Carmela Scarano da Metropolis 

Non arrivano sui barconi, non finiscono nei Centri di identificazione, non chiedono asilo politico, non fanno notizia. Arrivano in aereo, con visto turistico. Poi spariscono. E' Hong Kong la porta di ingresso. Il ritmo è di oltre l00mila l'anno. Tornano solo i turisti veri, non oltre il 30%. Gli altri si allargano a macchia d'olio sul territorio nazionale. Il punto di forza è la capacità di costruire comunità solidali, di mutuo aiuto. Dove c'è una famiglia cinese, ne arrivano altre dieci e trovano tutte collocazione. Se il record di presenze è detenuto dalla città di Napoli, in provincia San Giuseppe Vesuviano e Terzigno possono tranquillamente definirsi le Chinatown dell'area vesuviana. Una comunità nella comunità. Una vera e propria invasione che, negli anni, ha cambiato non solo il look delle nostre città ma ha anche ribaltato i luoghi comuni. E cosi, capita che tra le province di Napoli e Salerno spopola il made in Cina. Gli imprenditori dagli occhi a mandorla, approfittando della crisi, aprono negozi, ristoranti, centri benessere. Rilevano tutta una serie di attività commerciali che erano gestite dagli italiani che, da padroni diventano dipendenti. E' la rivoluzione degli imprenditori cinesi di seconda generazione. Non più solo quelli dei negozi di cianfrusaglie e di vestiti scadenti. La nuova frontiera degli immigrati con gli occhi a mandorla è la diversificazione. Negli ultimi mesi - secondo i dati della Confesercenti - la comunità cinese si sta interessando ai pubblici esercizi.
 
Stanno rilevando molti bar e ristoranti italiani che hanno chiuso: hanno soldi da investire, e in questo momento i prezzi sono più appetibili. Sono numeri imponenti, che fanno riflettere quelli relativi al vero e proprio esercito di piccoli imprenditori orientali che hanno messo radici nel Belpaese. Il record di presenze è a Napoli e nell'hinterland: negli ultimi dieci anni la presenza cinese è aumentata del 692%. Sono questi i numeri che fanno della comunità cinese italiana una delle più attive. Il 10% del comparto commerciale di Napoli e provincia è in mano ai cinesi. Che, però, qui fanno impresa dando lavoro solo ai connazionali, e recuperano soldi da mandare in patria. Bankitalla ha calcolato che da Napoli viaggiano rimesse in denaro verso la Ciña per circa 90 milioni di euro l'anno. Fanno ricchezza ma non la mettono in circolo. Sono 253 i negozi cinesi attualmente aperti tra 13 cittadine dell'area stabiese-vesuviana e 19 dell'agro nocerino e la zona sud di Salerno. Vendono di tutto, dalla lampadina al caricabatterie per l'IPad. Sono aperti sette giorni su sette, dalle 8,30 alle 10 di sera. Instancabili, per loro non c'è festività che tenga. Un modo di lavorare che sta mettendo ancora più in difficoltà il commercio italiano. Gli imprenditori orientali di seconda generazione puntano anche sulla gastronomia. Il ristorante cinese resta un must anche se. negli ultimi anni è stato scavalcato da quelli che propongono il sushi giapponese. Il portale Tripadvisor ha stilato la classifica dei migliori 30 ristoranti cinesi della Campania. Sul podio la rosticceria cinese Fen Yan di Napoli, il ristorante partenopeo Il Drago d'Oro, La grande Muraglia di Salerno. A sorpresa, non fosse altro per le diverse tradizioni locali, gli altri ristoranti premiati si trovano in Cilento e nell'area puteolana. Per mantenere le proprie attività cinesi, nella stragrande maggioranza dei casi, importano la materia prima dalia patria. Gli imprenditori orientai) conoscono bene le leggi e sanno anche come dribblare la burocrazia doganale. Cosa che risulta più difficile agli italiani che fanno import dalla Cina. Sulle delicate procedure decine di forum online. Le dritte si sprecano. Il consiglio che va per la maggiore è che una volta che il cargo dalla Cina è arrivato al porto di destinazione le merci vengono scaricate e vi è la possibilità che siano ispezionate dagli ufficiali doganali. A questo punto inizia il processo di sdoganamento da parte delle autorità portuali, che faranno conoscere l'importo dei dazi, dell'Iva, delle spese portuali e di servizio (ne gli scaricatori ne le autorità portuali lavorano gratis). Una cosa è certa. Il prezzo con cui si acquista la mercé in Cina non è quello finito. Per poterne disporre, una volta giunto in Italia, il costo del prodotto aumenta in maniera esponenziale. Se all'origine costa 10 euro, il prezzo finito in Italia, gravato di dazi. imposte ed Iva, sfiorerà i 50 euro. L'ultimo, e più intrigante capitolo della China Town all'italiana è quello dei centri di massaggi cinesi. Una cultura in patria che qui, molte volte, si trasforma in centri a luci rosse. Tra Scafati e Saleno, passando per le due Nocera, decine i centri cinesi finiti sotto la lente d'ingrandimento delle forze dell'ordine, con le denunce per sfruttamento della prostituzione a carico dei gestori, tutti cittadini cinesi. Si arriva nelle alcove "mascherate" da spa tramite inserzioni sui giornali o il passaparola. Quando si è dentro si capisce che 1e attività che si svolgono sono ben altre. Ti stendi sul lettino ma la massaggiatrice cerca subito il contatto, si china sulla schiena da massaggiare toccandola quasi con il mento. Dalla schiena scende ai fianchi, poi alla gambe, ai polpacci. Si sposta abilmente intorno al letto, cerca il dialogo. «Piace?». Poi arriva la proposta, quella che muove il business: «Dieci euro e ti do bacio 1à. 60 euro massaggio, IO euro bacio là. Tu dai 60 euro mio capo e 10 euro me. Tutto 70 euro».

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