domenica 8 marzo 2015

Se l`8 marzo ci scopre indietro

Fonte: Titti Marrone da Il Mattino 

Ci spaventa guardare altri mondi dove le donne vengono intabarrate in burqa e niqab. Segregate per impedire che possano studiare oppure guidare l'auto, mutilate perché non possano gioire e godere o perfino impiccate, bruciate vive e lapidate se osano amare fuori dai recinti consentiti dal padrone: eccome se c'è da rabbrividire, indignarsi, protestare. Però, che in quest'altra nostra parte di mondo più fortunata nemmeno siano solo rose e fiori, lo dimostrano molti segnali. Uno di questi lo coglie ottimamente la nitida inchiesta di Alessandra Chello sulla disoccupazione delle ragazze meridionali usata ieri su questo giornale. La perentorietà dei dati lì riportati, lontano dalla consueta retorica dell'ovvio codificata dalla data rituale dell'otto marzo, arriva lancinante come una frustata nella speditezza di una cifra, «56 per cento»: tante sono le ragazze del Sud con meno di 35 anni costrette a vivere senza un vero lavoro e quindi ad arrabattarsi, a umiliarsi, a intorpidirsi nel letargo forzoso indotto dall'assenza del diritto basilare, il diritto civile per eccellenza posto a mo' di incipit della Costituzione italiana quasi settant'anni fa. Dietro la cifra ci sono voci, volti, storie di diplomate e laureate costrette in nicchie di adattamento, con pseudo lavori dequalificati e sottopagati da dog sitter, contabili, cassiere. E insieme, quel 56 per cento racchiude le singole vite in un unico coro che sanziona un vero cambio di paradigma su cui è urgente interrogarci: mentre si parla di ripresina economica del Paese, spetta alle donne raccogliere i cocci e pagare il prezzo più alto di una traiettoria d'impoverimento che ha prodotto danni difficili da riparare non solo sul piano economico ma anche su quello civile, da far rivoltare nella tomba i padri costituenti dell'incipit di settant'anni fa.

Siamo scivolati indietro, precipitosamente e rovinosamente, su un piano inclinato che trascina m basso le giovani e con esse le loro famiglie, quindi anche gli uomini, i figli, insomma noi tutti. E tutti, donne e uomini, paghiamo caro e amaro un ritorno indietro sul piano del welfare, dei servizi sociali, della sanità. Un esempio per tutti viene da un dato sulla mortalità materna diffuso ieri dall'Istituto superiore della sanità, che vede la Campania maglia nera con 13,4 morti ogni centomila nati vivi. Morti evitabili con diagnosi e trattamenti adeguati, poco compatibili con tagli indiscriminati alla sanità. Questo ritorno indietro disegna una brusca interruzione del cammino verso la parità dei diritti cominciato negli anni settanta e insieme ci impoverisce enormemente anche in fatto di valori condivisi. C'è in giro un incattivimento generale, un'aggressività diffusa anche nei comportamenti spiccioli: l'esatto contrario del senso di cittadinanza solidale necessario a una comunità per risalire la china. Lo dimostra no anche i dati resi noti ieri dal Viminale a mo' di bilancio del primo anno della legge contro il femminicidio. Se da un lato ne emergono indizi confortanti quanto ai provvedimenti di polizia contro gli autori di abusi, aumentati quattro volte, dall'altro colpisce l'impennata dei casi di maltrattamento tra le mura di casa, di sfruttamento della prostituzione e di pornografia infantile. Sono passati quarant'anni dal quel 1975 che, con il nuovo diritto di famiglia, stabilì la parità tra i coniugi, seguito due anni dopo dalla legge di parità sul lavoro che stabiliva uguali diritti e uguali salari per uomini e donne. Oggi il processo sembra arenato, lasciando in mezzo al guado le donne giovani e le meno giovani che, a dispetto del coup de théâtre governativo dell'esordio - ricordate? otto ministri, otto ministre subiscono una pericolosa retromarcia fatta di perdita di diritti e una bruciante realtà: a dispetto di proclami su quote rosa e ministre testimonial - peraltro ancora recensite per la nuance del tailleur e la congruità del tacco - le donne non sono più un vero tema politico ne una priorità economica. Il che impone un prezzo altissimo all'intera società, così pervasive da dilagare dal piano economico al campo dei valori, minando le famiglie, isolandole e inchiodandole ancora più di prima alla rincorsa di modelli consumistici irraggiungibili e quindi forieri di tensioni, insoddisfazioni, lacerazioni tra tutti i suoi componenti. Le violenze domestiche in aumento raccontano anche questo, una realtà di maggiore distanza tra i sessi e «il fallimento drammatico di un mondo incentrato sull'affermazione dell'Io e dei bisogni individuali a scapito degli altri» efficacemente descritto da Massimo Ammaniti nel suo libro«Noi». Gli insulti anonimi frequentemente lanciati contro le donne delle istituzioni sul web o i referendum in rete che premiano «la monaca di Monza personaggio più arrapante della letteratura mondiale» raccontano, invece, i fondali nascosti dietro tecnologie che enfatizzano il mito della socialità ma costruiscono solo orizzonti di solitudine. Se non si riscopre la centralità delle donne, se non si ribalta quel «56 per cento» di energie femminili private del diritto dei diritti, saremo condannati a un eterno narcisismo conflittuale e all'assenza di valori solidali. Allora ci dovremmo porre davvero seriamente la domanda scritta nell'Ecclesiaste: «Due sono meglio di uno perché hanno una buona ricompensa per il loro lavoro... e ancora, se due giacciono insieme, avranno caldo: ma come si può avere caldo da soli?».

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