domenica 19 ottobre 2014

Bassolino: "Regione, candidato condiviso per evitare scontri nel partito"

Antonio Bassolino
di Pietro Treccagnoli da il Mattino 

Neanche un tweet, finora. Sul social network, usato abitualmente per commentare la vita politica cittadina e nazionale, Antonio Bassolino ha scritto un po’ di tutto, ma ha vistosamente ignorato la crisi del Comune e le candidature del centrosinistra alla Regione. Un caso? Con l’ex-sindaco non è mai un caso. Ieri, il numero due del Pd, Lorenzo Guerini, in un’intervista al «Mattino», ha annunciato che bisogna staccare la spina a de Magistris. E ci voleva lui? avrà pensato Bassolino. Ma, da politico navigato, preferisce affidarsi a un ragionamento e prenderla da lontano, mettendo il grandangolo, prima di scattare la sua fotografia. Presidente, sarebbe pure ora di rompere il silenzio, con tutto quello che sta succedendo. Cominciamo dalla Regione. Non pensa che il centrosinistra, come al solito, si stia avviando al solito pasticciaccio? «Queste ultime settimane hanno rafforzato in me quanto pensavo e temevo. Si è perso tempo, purtroppo. Era evidente che la strada maestra da seguire era prioritariamente la definizione di un programma e poi si doveva passare al confronto sui nomi». Ma parlare di programma nel Pd regionale è come parlare di corda in casa dell’impiccato. «Finora è mancata una seria riflessione programmatica sulla Campania e sul Sud sia a livello regionale che nazionale». Perché il Sud continua a essere il grande assente nei programmi del Pd? «Non so neanche se nel Pd ci sia un responsabile per il Mezzogiorno. Di sicuro manca una riflessione sul futuro del Sud che si sta svuotando delle sue energie giovanili. Ed è un’emergenza sulla quale bisogna discutere». Perché negli altri partiti se ne discute? «Appunto. Il Sud è senza rappresentanza politica in tutti i principali partiti. Un deficit di programmi, di idee, di gruppi dirigenti. Anche nel governo. Persino nei sindacati e in Confindustria. Si sentono solo lamenti».
 
Che non bastano. «Anzi sono dannosi. La spinta deve venire dallo stesso Mezzogiorno. Invece, il Sud è senza rappresentanza e senza voce. È difficile trovare dei precedenti nella lunga storia meridionale. E, in questo contesto, manca la voce più importante: quella del sindaco di Napoli che storicamente è la più autorevole e la più ascoltata». Invece? «Abbiamo un sindaco sospeso e che, prima di essere sospeso, non aveva rapporti politici con Roma, con il governo e i partiti. Con la politica. La politica al Sud è muta proprio quando c’è un disperato bisogno di parlare al Paese e far sentire le ragioni del Mezzogiorno». Detto questo, che tipo di candidato servirebbe alla Regione? «Un nome largamente condiviso, iscritto o no al Pd. Ma anche un intellettuale o una figura che provenga dal mondo delle professioni». Lo stanno cercando? «Non mi pare. Credo, però, che su sei milioni di campani, più un altro milione che vive fuori della regione, si possa trovare un nome capace di superare la logica delle correnti e delle subcorrenti. Deciso il nome, si andrebbe a primarie confermative, come nel Pd è già avvenuto in passato». E i tre candidati, De Luca, Cozzolino e Saggese, ci starebbero? «Di fronte a un nome forte, De Luca, Cozzolino e la Saggese rifletterebbero sulla possibilità di un candidato che può creare più condivisione e consenso di loro». Mica è così facile. «Ho detto che rifletterebbero, non che rinuncerebbero. Cozzolino è eurodeputato. La Saggese siede in Parlamento. Per De Luca, che è in scadenza come sindaco di Salemo, il partito può trovare un modo per utilizzare la sua grande energia». E se nessuno si tirasse indietro? «Si va a primarie competitive. Le regole sono queste. E se i tre candidati in corsa non piacciono, le segreterie, nazionale e regionale, possono aggiungere altri nomi più in linea con il nuovo corso renziano». C’è chi sostiene che andare alla conta sia solo una melina per favorire Caldoro. Ma non è che il Pd ha puntato proprio su una rielezione di Caldoro? «L’ho detto anche io, ma esprimendo un timore». Una battuta? «Ma certo. Che vantaggio avrebbe Renzi a riconsegnare la Campania a Caldoro? Contro Caldoro si può tranquillamente vincere con un candidato condiviso. Ma se non c’è e se le primarie non si fanno in modo serio, allora può vincere Caldoro, ma soprattutto si sfascia il Pd». AI Comune la situazione è ancora più ingarbugliata. E lei, sempre particolarmente critico, da quando c’è stata la sospensione di de Magistris se n’è stato zitto. Neanche un tweet. Come mai? «Non ho voluto partecipare al coro, nel quale c’era anche la voce stonata di chi taceva quando de Magistris era saldo in sella. L’interlocutore si critica quando è potente non quando è debole». Ora de Magistris è debole. «È debole al di là del suo sfrenato attivismo e presenzialismo. Ma è una debolezza che fa parte della debolezza più grande della politica cittadina e della città stessa». Che cosa pensa della sospensione? «È una norma eccessiva. E il frutto di un clima sbagliato. Sembra scritta da de Magistris, finito vittima del giustizialismo che ne aveva decretato il successo. Le norme, però, giuste o eccessive, si rispettano. Lo spettacolo di questi giorni è triste assai. Un sindaco sospeso che fa il sindaco di strada, facendo quello che non faceva quando era in carica ed era rinchiuso nel bunker di Palazzo San Giacomo. E c’è un vicesindaco condannato facente funzioni che, politicamente parlando, è pure sindaco abusivo della città metropolitana». Ma le regole sono queste. «Sodano non è stato neanche eletto consigliere comunale e fa il sindaco della città metropolitana. Che cos’altro deve succedere?». Ce lo dica lei: che altro può succedere? «De Magistris in consiglio comunale ha avuto la più forte maggioranza della storia di Napoli. Non l’avevo io nel 1997 quando fui eletto con il 70 percento dei voti, non l’aveva Achille Lauro. Ora questa maggioranza si è ridotta a un solo voto che una volta viene da destra, un’altra da sinistra. Il futuro di Napoli è affidato al trasformismo. È il peggior consiglio comunale che io ricordi». Quali sono le responsabilità della minoranza? Del Pd e di Sel? «Il Pd ha chiesto le dimissioni di de Magistris quando era ancora molto forte e si è autocondannato alla pura propaganda. Ha annunciato raccolte di firme che non ha mai fatto. Ora vuole staccare la spina, ma puntando, mi sembra, su persone che appoggiano il sindaco». Non ne imbroccano una. E Sel? «Ha fatto errori evidenti. E lo dico con dispiacere. Ha votato il bilancio nelle ore immediatamente precedenti alla sospensione con argomentazioni molto singolari». Non voleva consegnare la città a un commissario. «Ma, bocciando il bilancio, si consegnava Napoli ai cittadini. Il bilancio lo avrebbe approvato il commissario e poi si andava al voto. Tutto sarebbe stato più limpido. De Magistris sarebbe caduto politicamente. Invece, siamo in mano a un vicesindaco che nelle interviste spiega che la città è saldamente guidata. Mi cadono le braccia vedendo quello che succede in città e quello che dovrebbe succedere e non succede». Insomma, secondo lei, si deve andare al voto? «Bisogna ridare la parola ai cittadini. Prima avviene e meglio è. Lo faccia il Consiglio, lo faccia lo stesso de Magistris. La spina se la stacchi da solo». Il suo nome torna periodicamente in ballo come candidato al Comune. «Mi mettono sempre in mezzo». Ci sarà un motivo? «È il segno della crisi dell’attuale classe politica. Il sindaco l’ho già fatto, dal 1993 al 2000, e penso di non averlo fatto male. Alle passate campagne elettorali non ho partecipato, questa volta lo farò. Sono pur sempre un militante del Pd».

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