giovedì 7 ottobre 2010

Caso Belpietro. «L’agguato, gli spari, la fuga e nessuna traccia. Strano, no?»

«Parlo da poliziotto e faccio un ragionamento generale: un attentato con tanto di sparatoria deve lasciare più di una traccia. In questo caso, invece, l’analisi della scena del delitto non ha restituito neppure un indizio. Ci restano la testimonianza più volta confermata del capo-scorta e alcune discrasie». Cioè? «Incongruenze, passaggi che non tornano». Il poliziotto che parla è un funzionario che conosce bene Alessandro M, il caposcorta del direttore di Libero Maurizio Belpietro. C’è molto imbarazzo e non vuole arrivare a conclusioni. Che però a una settimana dall’attentato-agguato sono sempre più ridotte: un delitto perfetto, che a volte esiste; la montatura, una scena totalmente inventata. Bisognerà poi vedere perchè e da chi. Terreno minato quelle delle ipotesi e delle supposizioni, specie se si parla delle vita delle persone e di famiglie. Occorre armarsi di massima cautela e procedere a piccoli passi. Dalla scena del delitto,secondo manuale. E’ stata ricreata lunedì sera, tecnicamente si chiama esperimento giudiziario, dai pm Pomarici e Pradella e da altri agenti. Un attore ha recitato il ruolo dell’attentatore in base all’unica versione disponibile, quella dell’agente Alessandro M, da anni assegnato alla scorta di Belpietro. Stesso orario, intorno alle 22 e 30, l’auto della scorta resta ferma con un agente in via Monte di Pietà 19 davanti all’ingreso principale; Alessandro accompagna il direttore al quinto piano, poi decide di scendere a piedi anzichè in ascensore («volevo fumare una sigaretta») e fatta mezza rampa di scale scorge l’attentatore che impugna una pistola («poteva essere una Beretta») ma s’inceppa. Alessandro spara due colpi in aria perchè l’uomo sarebbe già in fuga. E qui c’è la prima grande anomalia. «Una delle prime cose che impara un agente è l’uso legittimo delle armi di fronte a una persona armata» ragiona l’investigatore. Il terzo colpo, di cui resta un visibile segno, viene sparato durante l’inseguimento, tra il primo e il secondo piano, contro una vetrata. i finisce contro una vetrata, di cui resta un visibile segno, tra il primo e il secondo piano durante l’inseguimento. Arriviamo alla via di fuga. E qui la ricostruzione fa acqua. Un fatto è certo: oltre il muro di cinta alto circa due metri del secondo cortile interno del condominio di via Monte di Pietà c’è un altro cortile di un altro palazzo che affaccia su via Borgonuovo. Saltando il muro l’attentatore doveva per forza atterrare su una siepe e quindi spezzare almeno qualche rametto. Ma la siepe, si spiega, «è intatta». E le telecamere di via Borgonuovo non hanno registrato nessuno. Quindi, o l’attentatore ha volato oppure non è mai passato da lì. Da dove quindi? Dall’uscita principale di via Monte di Pietà rimasta sguarnita visto che l’altro agente di scorta sarebbe entrato nel palazzo allertato del pericolo da una telefonata di Alessandro? E’ un passaggio cruciale a cui potrà dare risposta l’analisi dei tabulati. Alessandro M. ha 44 anni, è un quadro sindacale, sposato con una poliziotta, un figlio piccolo. Dicono di lui che sia un agente esperto di armi e molto compreso nel suo lavoro. La sua pagina di Facebook è stata rimossa martedì sera. Tra i film preferiti c’è Full Metal Jacket. Nel 1995 aveva sventato un altro attentato contro il capo del pool Gerardo D’Ambrosio. Anche allora l’attentatore rimase un mistero. (di Claudia Fusani L’Unità)

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