martedì 5 ottobre 2010

Bondi e il buco nero di Pompei

Doveva essere motivo di vanto, si sta trasformando in un colossale fiasco. La gestione degli scavi di Pompei, così come voluta da Bondi, comincia a essere attaccata dalla stampa: che sta portando alla luce la scarsa trasparenza, le spese pazze, lo schizofrenismo amministrativo degli ultimi 2 anni. Il sito archeologico più famoso al mondo, visitato ogni anno da 2 milioni di persone, è da mesi senza una guida effettiva: perché il ministro preferisce nominare sovrintendenti sull’orlo della pensione o part time, impossibilitati quindi a impostare l’indispensabile e complessa programmazione fatta di manutenzione, di restauri, di ricerca, di valorizzazione. E la scelta non è casuale: perché Bondi ha dimostrato di preferire alle capacità comprovate dei tecnici – cioè, degli archeologi – i metodi spicci dei burocrati, magari fedeli di gabinetto. Ad esempio, dell’ex funzionario della protezione civile Marcello Fiori (poi passato ai Beni culturali): negli ultimi 15 mesi e fino allo scorso giugno commissario all’emergenza, dotato di poteri straordinari e fondi cospicui. Quello che è inspiegabile è perché al dottor Fiori, che non è né archeologo né uomo di cultura, è stato chiesto di occuparsi non solo della messa in sicurezza del sito ma anche delle iniziative di valorizzazione: quando la sovrintendenza di Pompei, sotto la guida del professor Guzzo e in virtù di una speciale autonomia conquistata nel 1997, ha riscosso nell’ultimo decennio successi unanimi proprio per l’eccellente qualità delle mostre realizzate in tutto il mondo, dei programmi di ricerca, dei servizi didattici. Mentre Fiori ha scelto la spettacolarizzazione strillata, il marketing pacchiano, la scarsa professionalità ma ben connessa, gli alti e a volte inutili costi: tanto da meritare – ma su tutta la sua gestione – delle attenzioni particolari da parte della Corte dei Conti e delle procure della Repubblica della zona. Il problema però è molto più grande e più grave. Il ministro Bondi, infatti, ha deciso che Pompei dovrà essere gestita da una fondazione, con la partecipazione degli enti locali e che di fatto esautorerebbe la sovrintendenza: e in gran segreto ha nominato – secondo delle indiscrezioni non smentite – una commissione preparatoria in cui non ci sono archeologi ma solo fedelissimi, Fiori compreso. Ma perché il ministro non incarica degli esperti autentici di valutare quanto prodotto dalla sovrintendenza speciale e autonoma nel suo primo decennio di attività? C’è veramente bisogno di una fondazione, oppure è più opportuno limitarsi a migliorare l’esistente? E non dovrebbe il ministro Bondi render pubblica – magari anche in sede parlamentare – la relazione che Fiori ha preparato sulla sua gestione alla fine del mandato? Il dibattito è la linfa vitale di ogni democrazia: e il futuro di Pompei, che è patrimonio dell’umanità per l’Unesco, andrebbe deciso attraverso una consultazione pubblica e allargata agli studiosi di tutto il mondo, sulla base di documenti e di proposte ufficiali. Sarebbe una scelta responsabile, degna di un Paese civile. (Giuseppe Mancini Generazione Italia)

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