lunedì 5 aprile 2010

Cercasi bussola per i democratici

Sarà difficile per la sinistra riprendersi dalla botta delle Regionali. Anche perché Bersani ce l'aveva messa tutta a cercare di tenere insieme - e accontentare - le troppe anime del fronte antiberlusconiano. Diversamente da Veltroni che si era, spregiudicatamente, giocato il tutto per tutto con un'unica formula (perdente), il nuovo segretario Pd aveva messo in campo un ventaglio di alleanze diverse per ogni situazione. Una strategia arlecchino che, però, ha fatto cilecca. Col risultato che, ora, non è chiaro da quale bandolo si debba ricominciare a tessere. Le tre spine di Bersani restano quelle che erano emerse alla vigilia, con l'aggravante che il centrodestra è tornato ad avere il vento nelle vele. La prima spina si chiama Udc. Il partito di Casini non è riuscito nell'intento di mostrare di essere decisivo in ogni caso, ma questo è un problema del suo leader. Per il Pd, la risposta delle urne è che, a parte le regioni storiche, senza l'Udc perde. La prova del budino si è avuta nel Mezzogiorno, dove Vendola ce l'ha fatta in Puglia grazie all'assist della Poli Bortone. E De Luca - o un altro candidato - ce l'avrebbe fatta in Campania se, al posto di trasmigrare a destra, i demitiani fossero rimasti nel campo in cui si erano rafforzati con dieci anni di sottogoverno. Quindi, logica vorrebbe che, nel futuro, il Pd andasse avanti sulla strada patrocinata da D'Alema, un'alleanza coi centristi a tutti i costi. Su questa strada, però, Bersani trova due formidabili oppositori. Il primo è Di Pietro, che rimane una spina inestirpabile. La metamorfosi in chiave più pacata delle ultime settimane di campagna non deve trarre in inganno. Ora che il Cavaliere è saldo in sella, l'ex-pm non rinuncerà a riesumare i suoi toni di crociata, mettendosi di traverso a ogni ipotesi di intesa bipartisan sulle grandi riforme. Sia che si tratti di magistratura, sia che si parli di presidenzialismo, Bersani non potrà aprire bocca senza che Di Pietro gli scateni contro il popolo viola. Un popolo - ed è la terza spina - che già ha dimostrato di potere infliggere ferite profonde, come nella sconfitta in Piemonte causata dalla lista dei grillini. E che guarda con simpatia all'ascesa - per il momento soprattutto mediatica - dell'astro di Nichi Vendola. L'unico che sembra oggi in grado di rimettere insieme le truppe sparpagliate della sinistra radicale. Ma che appare in competizione con Di Pietro, e comunque del tutto incompatibile con qualsiasi tipo di sinergia con Casini. Di fronte a un simile pasticcio, Bersani può fare molto poco. È già molto se gli oppositori interni, per il momento, rinunciano a sfrattarlo. Probabilmente perché loro stessi non saprebbero dove andare. Al di là della impasse strategica sul terreno delle alleanze, la perdita di alcune regioni chiave avrà conseguenze importantissime su ciò che resta dell'apparato e dell'organizzazione del Pd. Dietro la retorica con cui tutti i leader imbellettano la vita dei partiti, questa si nutre innanzitutto di posizioni amministrative: cariche ai vari livelli della piramide di governo, che servono per retribuire la nomenclatura ma anche per radicarsi sul territorio, nel network di interessi e clientele che alimentano il flusso dei consensi. Su questo fronte, le ultime elezioni segnano una svolta storica. Durante tutta la Seconda repubblica, il centrosinistra era riuscito a resistere allo tsunami berlusconiano anche perché controllava la maggioranza degli enti locali. Oggi questo non è più vero. Alla cronica debolezza nel far fronte al grande Comunicatore e alle sue leve televisive e finanziarie centrali, oggi il centrosinistra somma un'emorragia in periferia. Dalla quale difficilmente riuscirà in tempi brevi a riprendersi. Il ceto politico che ha vinto, al nord e al sud, queste elezioni non sembra, infatti, destinato a mollare facilmente le posizioni conquistate. In Veneto e Piemonte, la Lega ha due nuovi bastioni per far crescere l'egemonia culturale con cui, provincia su provincia, è penetrata in gran parte del norditalia. In Lazio e Campania, anche se sotto spoglie variopinte, si assiste al ritorno al potere degli eredi della Prima repubblica, instancabili maratoneti del porta a porta e grandi esperti di piccole mediazioni e molti voti. Quali che saranno in futuro le sorti del Cavaliere, i vincitori di queste elezioni regionali, in Padania come nel Mezzogiorno, hanno ottime chance di sopravvivergli. (Mauro Calise il Mattino)

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